Tai Chi Chuan

Ho iniziato a studiare questo stile di Kung Fu nel 1985 e da subito mi è piaciuto farlo cogliendone
tutte le sue implicazioni; sarebbe riduttivo, infatti, considerare il Tai Chi Chuan una semplice pratica per il benessere (come spesso accade), in quanto esso unisce riferimenti filosofici, culturali, meditativi, marziali ed energetici delle antiche conoscenze cinesi.

Dici Tai Chi Chuan e la maggior parte delle persone pensa a movimenti morbidi e lenti, immaginando una sorta di ginnastica salutistica; a una piccola minoranza di meglio informati, invece, questo nome evoca l’idea di una disciplina a sfondo “energetico”.
Nel tentativo di chiarire cosa sia il Tai Chi Chuan si è spesso giunti a dare diverse interpretazioni, probabilmente, però,  parziali; molto è stato detto e scritto su quest’arte, spesso cose giuste, molte errate, a volte contrastanti, in alcuni casi “vere con sfumature false”, altre volte “false con sfumature vere”.
Purtroppo è l’argomento in sé che non si adatta al desiderio, tutto occidentale, di definire e spiegare, e che, per la sua complessità e organicità si presta a più chiavi di lettura o, peggio, a più interpretazioni; consideriamo, inoltre, che la diffusione a livello planetario di questa disciplina, ha comportato un’ulteriore difficoltà, cioè quella di inquadrarla, con il suo sostrato filosofico, in culture diverse, dove spesso non esistono neanche termini adatti a definire certi concetti.
Forse, quindi, il motivo per cui il significato e la funzione del Tai Chi Chuan rimangono sfuocate e sfuggenti è che esso è stato decontestualizzato dal suo ambiente naturale e dal suo ambito culturale; un ambito culturale di per sé complesso e appannaggio di una ristretta cerchia di intellettuali.
Il periodo d’oro del Tai Chi Chuan sono gli anni ’20 – ’30 del novecento, quando, grandi maestri come Yang Chen Fu (1883-1936), Sun Lu Tang (1860-1932), Fu Chen Sung (1881-1953), Wu Chien Chuan (1870-1942), Chen Wei Ming (1881-1958), ordinarono i programmi, sistematizzarono dei loro metodi, li divulgarono nelle città, e attraverso i due Istituti per lo studio delle arti marziali tradizionali di Nanchino e Canton, li canonizzarono; scrissero dei trattati e fecero proseliti, perpetuando la tradizione dei grandi maestri dell’ottocento: Yang Lu Chan (1799-1872), Wu Yu Hsing (1812-1880), ecc.
Ma con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese prima e della Rivoluzione Culturale poi, ci fu un’inversione di tendenza; gli anni ’50 e ‘60 videro, infatti, il Tai Chi Chuan relegato al ruolo di tecnica per la salute, da donare al popolo e divulgare quelle conoscenze che fino a pochi decenni prima erano appannaggio di una ristretta cerchia, tanto da uscirne completamente svuotato di ogni sua implicazione filosofica e marziale, che tra l’altro erano in contrasto con l’idea di un Paese laico come quello voluto da Mao Tse Tung.
Grazie agli immigrati cinesi, fuggiti dalla Repubblica Popolare alla volta degli Stati Uniti, il Tai Chi Chuan iniziò ad essere diffuso ed apprezzato in occidente; ma negli anni ’70, sulla scia dei movimenti legati al ’68, al fenomeno dei “figli dei fiori” e degli “yippi”, la nostra disciplina, insieme alle pratiche Zen (spesso confuse tra loro), assunse una connotazione fin troppo misticheggiante. Se ne può notare una esplicita citazione anche nel cult movie di quegli anni, “Easy Rider”; ma sorte ancora peggiore spettava al Tai Chi Chuan negli anni ’80-’90; fu, infatti, captato dai movimenti New Age e millenaristici, che lo inclusero nel loro background: un indistinto calderone di pratiche orientali.
Oggi tutti questi filoni coesistono, creando una gran confusione nei neofiti e non solo; i media, da parte loro partecipano, con i vari programmi ed articoli sulla salute e sul benessere a darne un’interpretazione riduttiva, non evidenziando, o ignorando del tutto, che il Tai Chi Chuan unisce riferimenti filosofici, culturali, meditativi, marziali ed energetici delle antiche conoscenze cinesi.
Ammonisce Yang Chen Duo, figlio di Yang Chen Fu: Ci sono molte persone che praticano senza conoscere i principi di base.
Ci sono anche persone che non sanno coordinare il metodo e le finalità.
Quando si dice di rilassare il corpo si sta parlando di una tecnica, di un metodo, ma non è certo questa la finalità.
Molte persone sono morbide: conoscono il metodo, ma non lo scopo.
Lo Scopo…appunto, qual è lo scopo del Tai Chi Chuan? E perché una disciplina apparentemente fisica contempla nel suo nome un riferimento così esplicito (Tai Chi) alla metafisica Taoista e Neoconfuciana? Cos’è il Tai Chi? Non si è forse fatto un madornale errore nel cercare di comprendere questa disciplina e la sua filosofia avvicinandole a quello che di simile c’era nella nostra civiltà? Non ci si è forse fatti ingannare da certe assonanze? Non avremmo dovuto essere noi, attraverso lo studio, ad avvicinarci alla cultura cinese e dall’interno capirne il senso ed il significato? Ed ancora…quello che di apparentemente mistico è permeato, è solo superstizione e tradizione popolare o è il vero contenuto della filosofia che faceva da sostrato al Tai Chi Chuan? I testi che ci sono giunti, ermetici, sibillini e dai termini fortemente simbolici, sono stati interpretati nella giusta maniera, o sono stati presi troppo alla lettera?
Proviamo per un attimo a dimenticarci tutto quello che è stato fino ad ora detto di questa disciplina e tentiamo una definizione, o meglio cerchiamo di inquadrarla nel suo contesto culturale originario, partendo dal suo nome.
Tai Chi Chuan è una parola composta da tre ideogrammi che indicano due termini: Tai Chi e Chuan; il secondo può essere tradotto con “Boxe” o “Pugilato”, ma in un’accezione più ampia, anche, espressione corporea, movimento artistico; il primo, Tai Chi, sarebbe meglio non tradurlo perché questo potrebbe essere fuorviante; il tentativo di trovare un termine che nella nostra lingua possa sinteticamente restituirne il significato, potrebbe essere un grave errore, sarebbe più interessante cercare di capire il significato del concetto sotteso al termine e per far questo ci si può rifare ad una ampia letteratura.
A partire dal XII secolo si andò delineando, in Cina, una nuova corrente filosofica che conosciamo con il suo neologismo, Neoconfucianesimo, ma sarebbe più appropriato usare il suo nome originario, Scuola dei Principii; a dire il vero più che una nuova scuola di pensiero si tratta di un sincretismo coerente di Taoismo, Buddismo Chan e Confucianesimo. Dice il noto studioso Fung Yu Lan: Tre correnti di pensiero possono essere considerate come fonti del neoconfucianesimo. La prima è il confucianesimo stesso; la seconda è data dal buddismo e dal taoismo mediati dal ch’anismo che era allora la più influente delle scuole buddiste…Infine, la terza corrente è la religione taoista, in cui la concezione cosmologica della scuola Yin-Yang costituiva un elemento importante.
Queste tre correnti erano eterogenee e sotto molti aspetti contraddittorie. Era tempo per i filosofi di comporle in unità, unità che non era mero eclettismo, ma un autentico sistema, capace di formare un tutto omogeneo. (Tratto da “Storia della filosofia cinese” di Fung Yu Lan – Arnoldo Mondatori Editore)
In estrema sintesi, i neoconfuciani ( Chou Tun I, Shao Yung, Chang Tsai, Cheng Yi, Cheng Hao, Chu Hsi, Liu Chiu Yuan, Wang Shou Jen, ecc.) elaborarono un modello di universo metafisico con una struttura “stratificata”, che ha al suo culmine il Tai Chi (l’Uno, l’Assoluto), rifacendosi alla tradizione arcaica, che collocava al vertice della natura il Cielo (Tien) e successivamente il Tao; l’Uno è al di là  e al di sopra di ogni cosa e dell’essere stesso, che sono, anzi, i suoi prodotti. “Questa posizione di assoluta trascendenza fa si che l’Uno sia la fonte di ogni essere, ma non un essere a sua volta. Dell’Uno nulla si può dire, perché ogni determinazione limiterebbe la sua infinita trascendenza, che lo pone sempre al di là di ogni definizione.”
Dal Tai Chi deriva l’intera realtà, il mondo intelligibile, ma questa produzione non è l’atto di volontà di un creatore, è un defluire spontaneo e necessario dell’essere.
Il primo momento di pluralizzazione dell’Uno è il Chi e il Li; il primo era considerato l’energia che permea l’universo e che condensandosi da vita e forma agli esseri particolari, forza vitale e legge immanente della manifestazione; il secondo era avvertito come il “principio costitutivo”, la natura delle cose, in qualche maniera una sorta di “Idea” platonica.
Dice Leonardo Arena: Il Li è la struttura di una cosa, ovvero l’idea che le è sottesa; ma c’è bisogno della materia, di un sostrato cui il Li possa inerire. La materia è data dal Chi, l’energia vitale materiale che permea il cosmo.
Si prenda l’esempio di un edificio. Se la natura venisse rimossa, ne resterebbero solo tegole e mattoni. E se la natura di tegole e mattoni venisse rimossa, resterebbe solo la natura della terra, eccetera. Rimuovendo qualsiasi natura dalle cose, resta pur sempre la materia, come substrato irremovibile, nel caso dell’edificio o di qualsiasi altro oggetto.  (Tratto da “La filosofia cinese” di Leonardo Vittorio Arena – Biblioteca Universale Rizzoli)
Questa nuova scuola filosofica sarà destinata ad avere una larghissima influenza sulla civiltà cinese e ne permeerà la cultura per diversi secoli, tanto che il gesuita Padre Matteo Ricci, recatosi in Cina per diffondere il cristianesimo, troverà grandi difficoltà ad aggirare l’influenza del neoconfucianesimo sul mondo accademico ed intellettuale. In una sua lettera del 1604 al Padre Generale così dice: Questa dottrina del Tai Chi è recente e risale a cinquecento anni fa. E, se si considera attentamente, in taluni è in contrasto con gli antichi sapienti della Cina, che compresero Dio in una maniera più giusta (Ricci cercava di dimostrare che la civiltà arcaica cinese aveva concepito la trascendenza in maniera simile al Dio cristiano - n.d.a.). Tra le cose che dicono di Tai Chi, il mio parere non è nient’altro che quello che i nostri filosofi definiscono come prima materia, poiché lo considerano di minima entità, anzi dicono che non esiste come realtà e che è presente in tutte le cose come parte di esse, non è principio di vita (spirito) e né fonte di conoscenza. E sebbene alcuni dicono che è la ragione delle cose, non intendono per ragione qualcosa di sostanziale né di intelligente, e si avvicina di più alla ragione ragionata che alla ragione ragionante. (Tratto da “Comprendere e convertire” di Franco Di Giorgio – Edizioni Istra)
A livello di microcosmo, la metafisica neoconfuciania prevedeva che la natura di ogni Uomo fosse caratterizzata dal Li (“Natura Umana”) e dal Chi , l’energia-materia che permea l’universo e che caratterizza, in base alla sua “quantità”, variabilità nella proporzione e densità, i singoli individui. Indagando sulla “natura umana” (Li) e lavorando sul proprio Chi, si può comprendere l’”ordine naturale” (Tai Chi) che regola l’universo.
L’Uomo, quindi, riconoscendo nel suo universo metafisico più stadi, può intraprendere un viaggio catartico a ritroso; le tappe di questo viaggio saranno scandite dalla comprensione della propria natura essenziale, il Ching, ovvero il Chi di cui si è dotati dalla nascita, quella componente di trascendente che è in ciascuno, per poi compenetrare l’essenza dell’universo, il Chi primordiale ed indifferenziato; per ottemperare, così, a quella spiritualità, Shen, che consente di unirsi empaticamente all’Uno (Tai Chi).
In questo nuovo clima culturale si svilupparono, collocandosi, a volte parallelamente, a volte in seno agli stessi circoli degli intellettuali, delle discipline psicofisiche che, promovendo un lavoro di introspezione, rappresentavano il mezzo per compiere il percorso interiore sopra descritto; tra questi sistemi c’era anche l’antenato di quello che oggi chiamiamo Tai Chi Chuan, la cui creazione è attribuita a Chang San Feng, personaggio che, sembra, sia vissuto nel XIII secolo.

Considerando quanto fin ora detto, potremmo a questo punto tentare una definizione di Tai Chi Chuan: un sofisticato stile di Kung Fu che deve la sua efficacia a implicazioni metafisiche, alchimie interiori, tecniche marziali ed energetiche.
Appartiene alla famiglia degli stili interni e le sue basi concettuali poggiano sul Taoismo; il suo nome, infatti, contiene riferimenti alla cosmogonia di questa corrente filosofica e di quella neoconfuciana; per queste due scuole di pensiero TAI CHI, sinonimo di Tao, è il termine con il quale si indica il concetto di Assoluto, il principio fondante dell’universo, un principio indeterminato ma determinante tutti i fenomeni

L’Uno creò il due

Il Due creò il tre
Il Tre creò le diecimila cose

Così si legge nel Tao Te Ching, il testo base del Taoismo.
Questo verso, apparentemente ermetico, esprime una complessa metafisica secondo la quale tutti i fenomeni e le forme sensibili (le DIECIMILA COSE) derivano da una realtà trascendente (l’UNO), che si manifesta nell’alternarsi ciclico di due principii opposti ma complementari (il DUE), detti Yin-Yang, archetipi di ogni dualità.

Il termine TAI CHI CHUAN può essere tradotto con BOXE DEL TAI CHI, a significare che il praticante con il suo corpo illustra, mette in scena, il processo di evoluzione cosmica secondo la metafisica taoista esprimendo l’armonia della natura; la struttura dell’universo colta nella sua suprema polarità.
I movimenti del Tai Chi Chuan sono, infatti, un alternarsi ciclico e continuo di espansione e ritrazione, rilassamento e contrazione, forza e cedevolezza, pesantezza e leggerezza, a rappresentare, così, il principio cosmologico universale come un cambiamento dovuto all’interazione tra yin e yang. Ma, soprattutto, il nome tradisce lo scopo di questa disciplina; essa è un mezzo per compiere quel viaggio spirituale a ritroso (dai Centomila esseri all’Uno) di quella cosmologia (dall’Uno ai diecimila esseri) che spiega simbolicamente le strutture dell’universo e che in chiave moderna potremmo restituire con alcune teorie della psicoanalisi; facendo tacere l’incessante voce del nostro Io, spogliandoci di tutte le sovrastrutture sociali, liberandoci dai desideri e falsi bisogni, potremmo cogliere il nostro Sé, la nostra natura essenziale, che contiene i semi del Sé collettivo, la struttura della natura umana.

Fine ultimo della pratica di quest’arte marziale è, quindi, quello di porsi, dopo aver lavorato sulla propria sfera fisica ed energetica, attraverso l’esecuzione delle forme, in uno stato altro di coscienza, dal quale si può andare oltre le apparenze e le illusioni del mondo fenomenico, per cogliere l’essenza della realtà ultima. A questo livello di consapevolezza il nostro essere è in una condizione di estrema ricettività e ogni gesto diventa più autentico ed efficace, anche quello marziale. E’, quindi, una forma di meditazione in movimento nella quale l’esterno è dinamico e l’interno è quieto.